Panico
Che cos’è
Diagnosi
Frequenza
Causa
Cura
Che cos’è il disturbo di panico
Il Disturbo di Panico è un Disturbo d’Ansia caratterizzato da attacchi di panico frequenti ed inaspettati.
Per prima cosa, cercheremo di comprendere, come già fatto anche per gli altri Disturbi d’Ansia, il confine tra normalità e patologia attraverso un esempio. Capire la distinzione tra normalità e disturbo serve a sottolineare, ancora una volta, il concetto che l’ansia è una esperienza emotiva fisiologica dell’uomo. L’ansia è, appunto, l’emozione che il nostro corpo mette in atto quando ci troviamo di fronte a una situazione che reputiamo minacciosa, pericolosa. L’esempio che segue presenta la testimonianza di un paziente che racconta il suo primo attacco di panico.
“Erano giorni che avvertivo più ansia del solito, sarà stato per l’esame di Biochimica che avrei dovuto affrontare la settimana successiva e per cui non mi sentivo particolarmente pronto. Sta di fatto che avevo appuntamento con una mia amica a Milano alle due del pomeriggio. Avevo poco tempo per allenarmi in piscina, ma decido di andarci lo stesso, pensando di concentrare l’allenamento il più possibile, e, per recuperare del tempo, evito le fasi di riscaldamento e di allungamento finale. Sarà stata l’adrenalina, il poco tempo, fatto sta che in trenta minuti faccio più del solito, faccio forse anche troppo, perché alla fine dell’allenamento noto di avere una forte contrattura all’altezza dei muscoli del collo.
Di fretta mi cambio, vado in stazione, e poi da lì raggiungo la metro del Duomo. Quel giorno (si trattava di un sabato) il vagone della metro era affollatissimo. In più era una giornata particolarmente afosa. La calca era così tanta, che avevo quasi l’impressione di non riuscire a respirare. Scendo dal vagone, è tardi, sono già in ritardo di dieci minuti e alzo il passo cercando di raggiungere la mia amica che mi attende nell’atrio della stazione della metro.
Noto, tuttavia, un certo affanno nel respirare. Questo mi spaventa, sento anche il battito del cuore quasi correre. In più ho il collo teso, rigido, e non riesco quasi a muovere la testa. Sebbene non riesca a muovere il collo, provo a un certo punto una strana sensazione, la testa mi gira. Decido, allora, di fermarmi, appoggiandomi al corrimano che accompagna le scale all’uscita. Mi rendo conto che mi tremano le gambe, non riesco a controllarle. In più faccio sempre più fatica a respirare, mi manca l’aria, faccio respiri sempre più corti, frequenti e affannosi. Il cuore, poi, è ormai impazzito, non batte mai così forte. Ho la testa che mi gira al punto che mi sembra quasi irreale tutto quello che mi passa accanto, le persone, le scale, le luci. Mi sembra di svenire.


E’ allora che penso di stare per morire, non so di cosa, forse di un attacco cardiaco. Solo dopo, calcolando i tempi, ho capito che quello che era stato l’evento più brutto della mia vita, e che mi era parso interminabile, ma era durato poco meno di dieci minuti. A un certo punto avverto una profondissima stanchezza, quasi un bisogno di dormire. Riesco a raggiungere la mia amica, che decide di accompagnarmi al PS dell’Ospedale più vicino. Lì, dopo una serie di accertamenti, mi dicono qualcosa che non riesco a capire, si è trattato di un Attacco di Panico. Null’altro, solo un attacco di panico. Mi dicono di tornare a casa, e di stare tranquillo, perché non c’è nulla di cui temere. Eppure io ero terrorizzato potesse succedere di nuovo. Questa volta mi è andata bene, pensavo, ma la prossima? Non dovessi avere la possibilità di raggiungere un medico? E se avessero, invece, sbagliato la diagnosi, e fosse stato il sintomo di una malattia al cuore che i medici non possono riconoscere con i soliti esami? Non riuscivo a stare tranquillo.
È cominciato uno dei periodi più difficili della mia vita. Costantemente controllavo il mio battito cardiaco, evitavo per di più tutto ciò che poteva aumentarlo, compreso il nuotare, che tanto amavo. Smisi di prendere la metro e in generale i posti da cui era difficile ottenere subito una via di fuga, come treni, aerei, bus, per paura che potesse ripresentarsi quello per cui “Devo stare tranquillo, perché si tratta solo di un attacco di panico”. Sono seguiti altri attacchi di panico. La paura di averne un altro stava compromettendo la mia vita. È stato quando ho smesso di nuotare che ho deciso di rivolgermi, fortunatamente, al mio medico”.
1. Diagnosi di un Disturbo di Panico
Attraverso il caso preso in esame tenteremo di comprendere, dunque, cosa distingue l’ansia dal panico. Si può notare come nell’esempio siano descritte buone ragioni per cui stare particolarmente in allerta, e quindi in ansia: la minaccia di un esame che incombe, un dolore fisico capace di causare sensazione di vertigini (contrattura dei muscoli del collo), afa, calca e fretta, che non rappresentano vere e proprie situazioni di pericolo, ma che di fatto non fanno altro che aumentare il normale funzionamento cardio-respiratorio, e con più precisione, il caldo dovrà essere dissipato dal corpo, per questo i vasi del sangue periferici verranno sottoposti a vasodilatazione, conseguenze naturali e sane di questo saranno un aumento del battito cardiaco e una riduzione della pressione sanguigna. Il cuore batte più velocemente per compensare la perdita d’acqua che si ha con il fenomeno del sudore. La pressione si abbassa per la vasodilatazione, questo comporterà una minore ossigenazione del cervello e quindi una lieve sensazione di confusione. In più, essendo sottoposti a uno stress fisico, i nostri polmoni tenteranno di acquisire dall’ambiente circostante più ossigeno, con la conseguenza sfavorevole che inspirando ed espirando più velocemente si accumulerà l’anidride carbonica nel nostro cervello, che è innocua, ma che dà quella fastidiosa sensazione di indebolimento e di confusione.
Riassumendo, fisiologicamente ci troviamo in una situazione in cui abbiamo il battito cardiaco più accelerato, la pressione sanguigna più bassa, un respiro più faticoso e la sensazione di confusione dovuta all’aumento delle attività cardiache e polmonari.
Se, tuttavia, a questa reazione simil-fisiologica di ansia, intervengono dei pensieri disfunzionali, questa può diventare panico. Se, cioè, interpreto questi sintomi (aumento del battito cardiaco, aumento della respirazione, leggera sensazione di confusione) come possibile manifestazione di qualcosa che “può far morire”, “può far perdere il controllo e quindi impazzire”, “può essere vista dagli altri” si scatenerà una ulteriore reazione ansiosa che altro non farà che incrementare i livelli di ansia, e quindi l’adrenalina, che farà appunto aumentare il battito cardiaco, la frequenza respiratoria, la confusione. Si è creato dunque il noto circolo vizioso del panico.
Concentriamoci ora sulle conseguenze che possono insorgere a causa degli attacchi di panico.
Come visto nell’esempio, l’attacco di panico è vissuto come evento terrifico. Non deve sorprendere, dunque, che un individuo che ha sofferto di attacchi di panico voglia evitare di averne di nuovi. Metterà in atto, dunque, una serie di comportamenti che sembrano aiutare il paziente, ma che tuttavia, non fanno altro che rinforzare quei pensieri (l’attacco di panico “può far morire”, “può far perdere il controllo e quindi impazzire”, “può essere visto dagli altri”) che alla lunga alimenteranno e nutriranno il disturbo. Tornando ai comportamenti messi in atto come sperata soluzione per non avere più attacchi di panico, spesso troviamo:
- comportamenti protettivi, e cioè tutti quei comportamenti che la persona mette in atto al fine di proteggersi da nuovi attacchi, come possono essere il portare con sé farmaci calmanti, oppure lo stare sempre con persone che possono se necessario soccorrerla, il tenere sotto controllo le uscite di sicurezza;
- Evitamenti, e cioè l’evitare tutte quelle situazioni che possono aumentare le possibilità di avere un nuovo attacco di panico, come i posti in cui si è avuto il primo (la metro nell’esempio sopra), i posti chiusi dai quali è difficile ottenere presto una via di fuga (treni, aerei, bus nell’esempio sopra), tutto ciò che può produrre uno sforzo fisico e dunque un aumento della funzionalità cardio-respiratoria (il nuoto nell’esempio sopra);
Al disagio personale che deriva dal vivere con la costante preoccupazione di avere un attacco di panico, spesso si associa una compromissione del funzionamento sociale e lavorativo della persona. Come già visto per gli altri Disturbi d’Ansia, questi ultimi sono essenziali per porre diagnosi di Disturbo di Panico secondo il DSM.
Riassumendo, non è solo il provare un forte stato d’ansia; come visto, questo rientra nella normale quotidianità degli individui. Quando, tuttavia, questo si associa all’attesa apprensiva di avere nuovi attacchi di panico, ai pensieri disfunzionali che un attacco di panico può far morire o impazzire, quando si associa a comportamenti evitanti e disadattivi, quando infine vi è disagio o un impatto dell’ansia sulla vita socio-lavorativa di un individuo, l’ansia passa dall’essere fisiologica a panico, e quindi a un disturbo che è necessario trattare.
2. Frequenza del Disturbo da Panico
Quante persone soffrono di un Disturbo di Panico?
Come per gli altri Disturbi d’Ansia è difficile fare un’esatta stima. Questo è, ancora una volta, dovuto alla presenza di retaggi culturali e del cosiddetto self-stigma, per cui sapere di avere un disagio psichico ci rende deboli e vulnerabili agli occhi degli altri. Tuttavia, secondo studi prodotti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 2-3% della popolazione mondiale soffre di un Disturbo di Panico.
3. Causa di un Disturbo di Panico
Perché alcuni individui, rispetto ad altri, sviluppano questo disturbo?
Neppure per il Disturbo di Panico esiste una causa univoca. Così come per gli altri Disturbi d’Ansia, anche il Disturbo di Panico appare essere spiegato tramite il modello eziologico cosiddetto bio-psico-sociale, secondo cui su un terreno genetico sfavorevole intervengono caratteristiche personologiche ed eventi di vita stressanti, che sono poi capaci dell’insorgenza di questa sofferenza psichica. Più nello specifico:
- i fattori biologici si ascrivono alla genetica. Noi tutti nasciamo con delle caratteristiche innate, che ci vengono tramandate, tramite il DNA, dalle generazioni precedenti alla nostra. E’ emerso da studi di tipo familiare, di tipo genetico, di tipo radio-diagnostico, che esistono persone il cui sistema nervoso appare più sensibile agli stimoli ansiogeni; questo risponderà, dunque, con una maggiore reattività ed emotività ansiosa; questo vale per tutti i Disturbi d’Ansia, non fa eccezione a questa regola il Disturbo di Panico;
- i fattori psicologici si ascrivono, invece, alla personalità di un individuo. Per personalità si intende il modo che una persona ha di vedere sé stesso, gli Altri e il Mondo. Si ritrovano nelle persone con un Disturbo di Panico spesso caratteristiche personologiche come una tendenza al pensiero catastrofico, oppure un’attitudine psicologica ad interpretare come minacciosi per la propria integrità fisica e/o mentale alcuni segnali che provengono dal nostro corpo (come possono esserlo l’accelerazione del battito cardiaco, un respiro affannoso, una leggera sensazione di confusione);
- i fattori ambientali si ascrivono, infine, a situazioni fisiche o psicologiche stressanti. Sarà, ovviamente, più a rischio di avere sintomi ansiosi chi consuma tante sostanze stimolanti (caffeina, teina), chi ha un’alterazione del profilo tiroideo (ipertiroidismo), chi manca di un sonno ristoratore, e chi fa esperienza di forti stress in ambito lavorativo e/o relazionale;
In definitiva, alcuni individui nascono con un sistema nervoso maggiormente predisposto alla reattività ansiosa; quando, poi, fattori ambientali (come può esserlo un forte stress lavorativo o fisico) generano sintomi simili all’ansia (accelerazione del battito cardiaco, respiro affannoso, tremori) e quando intervengono pensieri catastrofici ad interpretare gli stessi sintomi come minacciosi per l’integrità fisica e psichica dell’individuo (“morirò”, “impazzirò”, “cosa penseranno di me”), si stabilisce un quadro di Disturbo di Panico.
4. Cura di un Disturbo di Panico
Come per gli altri Disturbi d’Ansia il processo di cura di un Disturbo di Panico può giovarsi di più opzioni terapeutiche, da utilizzarsi singolarmente o, come più spesso accade, in comunione. Capisaldi del trattamento di un Disturbo di Panico, riconosciuti da decenni a livello internazionale, sono la Terapia Cognitivo-Comportamentale e la terapia psicofarmacologica.
- La terapia farmacologica si basa soprattutto sull’utilizzo dei cosiddetti Antidepressivi. Questi furono scoperti, ormai più di cinquant’anni fa, come essere efficaci nel trattare le patologie depressive, da qui il loro nome. Nel corso dei decenni è stato sempre più chiaro che questi farmaci, oltre al potere di curare la sofferenza depressiva, avevano la capacità di diminuire anche la sensibilità agli eventi ansiogeni. Da qui il loro largo utilizzo nel trattamento dei Disturbi d’Ansia. Si tratta di farmaci che i clinici conoscono oramai molto bene. Ottima l’efficacia, blandi e soprattutto transitori gli effetti collaterali.
- Come visto, alla aumentata sensibilità agli eventi ansiosi, gli individui che soffrono di un Disturbo di Panico sviluppano pensieri disfunzionali (“l’ansia mi farà morire”, “…impazzire” o “…perdere il controllo”); se questi non verranno smussati, modificati, non si potrà risolvere il sintomo che questi generano, e cioè l’ansia. A questo serve la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale. Si agirà sui pensieri (in letteratura non è mai stato riportato un decesso o un caso di impazzimento a seguito di attacchi di panico) e sui comportamenti, che se vengono assunti per evitare l’insorgenza dei sintomi ansiosi (il nuoto, come nell’esempio sopra), alla lunga non fanno altro che rinforzare i pensieri disfunzionali di base e cronicizzare il disturbo.
E’, infine, utile sottolineare come spesso la guarigione di un Disturbo di Panico si ottiene con l’utilizzo di entrambi gli approcci. Una volta ridotta la sensibilità agli eventi ansiogeni (con i farmaci) e una volta smussati i pensieri in cui ci si è incastrati (con la psicoterapia Cognitivo-Comportamentale) si può decidere di sospendere farmaci e psicoterapia.